Se tutti riuscissimo a esprimere fino in fondo ciò che pensiamo e proviamo e tutti fossimo in grado di comprendere fino in fondo le parole e le intenzioni altrui, forse il mondo sarebbe un paradiso, o forse un terribile inferno. Sta di fatto che non è così e che per capire e farci capire è sempre necessario un certo sforzo – non solo per rendere chiare le nostre parole, ma anche soltanto per tirarle fuori. Sono moltissimi, infatti, i casi in cui proprio ci manca il coraggio di essere chiari e sostituiamo a una comunicazione efficace e “verbale” altre strategie, protettive per la nostra persona ma inefficaci ai fini dello scambio di informazioni, idee, emozioni. Vediamo ora quali sono le “trappole comunicative” più frequenti. Analizzarle è importante per due motivi: primo, possiamo sentirci meno soli comprendendo che molte persone cadono negli stessi nostri passi falsi; secondo, chiarendoci il problema possiamo adottare strategie per risolverlo.
A volte si vorrebbe urlare di rabbia e si sceglie invece il silenzio. Non un silenzio qualsiasi, però, ma un silenzio teso, forzato, oppositivo. Chi si comporta così crede di inviare un chiaro messaggio all’interlocutore: “sono arrabbiato e vorrei che venissi a chiedermi scusa”, ma spesso non ottiene ciò che desidera e riesce solo a confondere o irritare chi ha intorno. Quando la rabbia ribolle nelle vene, preferire il silenzio all’insulto può sembrare una scelta positiva, ma la migliore è senz’altro la terza via: darsi un po’ di tempo per sbollire e poi affrontare il dialogo in modo chiaro e pacato.
Dire qualcosa per intendere qualcos’altro è un tranello comunicativo piuttosto comune. Per paura di essere giudicati si tende ad esprimere un sentimento etichettato come negativo (rabbia, delusione) attraverso giri di parole che non riescono ad approdare a un punto. Anche in questo caso, le motivazioni psicologiche di chi usa questa tecnica tradiscono il desiderio che sia l’interlocutore ad avvicinarsi e porre una domanda. La strategia, però, è quasi sempre inefficace.
Voler essere sempre colui che mette un punto alla discussione è una brutta abitudine in grado di far fallire facilmente la comunicazione. Chi sente di dover far valere ad ogni costo le proprie ragioni potrebbe perdere di vista il senso profondo del discorso e “dimenticarsi” di ascoltare davvero l’altro.
Giudicare l’interlocutore per le sue parole o anteporre un giudizio preventivo su di lui all’effettivo svolgimento del discorso genera discordia, ma anche errori di comunicazione. Il giudizio e soprattutto il pregiudizio allontanano emotivamente gli interlocutori e li spingono ad adottare tecniche di autodifesa che sabotano il dialogo.
In una coppia affiatata si ha, spesso, la piacevole convinzione di poter leggere nel pensiero del partner. Questo è il risultato di una profonda conoscenza e di una grande sintonia, ma può celare un rischio: la “lettura” potrebbe non essere reale e il partner potrebbe avere tutt’altri pensieri in determinati momenti. Per questo bisogna sempre sforzarsi di ascoltare cosa ci sta dicendo l’altro, e non quello che diamo per scontato voglia dire: a volte la sensazione di poter leggere il pensiero è una trappola e serve solo per rassicurarsi sulla giustezza delle proprie posizioni.