Secondo gli studi, un uomo su tre e ben nove donne su dieci conservano nel loro armadio vestiti mai indossati, spesso ancora con il cartellino o fuori taglia! Ma perché succede?
Dal punto di vista psicologico e culturale, il comprare e il mantenere vestiti che non verranno mai indossati assume un significato profondo. L’acquisto degli abiti, spesso, non è dettato dalla loro utilità pratica: lo riconosciamo dal fatto che pur avendo tanti vestiti e scarpe indossiamo sempre gli stessi, i più comodi o quelli che ci fanno sentire più a nostro agio. Spesso compriamo un capo particolarmente sgargiante se ci sentiamo tristi o soli, un jeans troppo stretto sognando di portare a termine la dieta appena iniziata o un paio di scarpe per noia. Questi sono acquisti che facciamo per compensare un disagio che ci portiamo dentro, per alleviare un piccolo dolore, per risollevarci da una giornata storta: sappiamo però dove andranno a finire, cioè sul fondo dell’armadio.
A questo punto basterebbe prendere quel cumulo di vestiti inutili e rivenderli su una di quelle app tanto di moda che permettono di guadagnare dai propri oggetti usati, o utilizzarli per uno swap party, o semplicemente regalarli. Ma perché non facciamo neanche questo? Liberarsi dei vestiti, o anche dei soprammobili che non si usa più, ha per la nostra mente un significato simbolico: è metafora di lasciare andare il passato, dando un colpo di spugna alla nostra vita e preparandoci a un cambiamento importante. Se non ci sentiamo pronti, se abbiamo paura del mondo esterno, dei cambiamenti e del futuro, spesso non riusciamo neanche a liberarci dei vestiti in fondo all’armadio.
Le tradizioni legate al capodanno o alle pulizie di primavera, cioè all’inizio di una nuova fase, comprendono il liberarsi della roba vecchia: possiamo osservare questo tipo di rituali in tutto il mondo. Gli studiosi di psicologia confermano che per noi ristrutturare casa o liberare l’armadio sono passaggi particolarmente importanti per l’inconscio e possono essere vissuti tanto come liberazione quanto come lutto doloroso. Il cosiddetto decluttering è, allora, un gesto potente che va al di là di una fumosa simbologia new age e si radica profondamente nel nostro essere, trasformando la vita in meglio solo se siamo davvero pronti.
Liberare l’armadio non è quindi un gesto banale e per farlo occorre prepararsi. Prima di tutto, convincendosi della sua necessità (se c’è). Quando l’armadio pieno è una visione angosciosa, quando la vista di tutti quei cartellini ancora attaccati scatena il senso di colpa, quando il jeans troppo piccolo in cui non entreremo mai ci scatena quasi le lacrime, è proprio ora di far qualcosa. E se è un rituale, trattiamolo come tale. Accendiamo una candela, mettiamo della musica, e riempiamo il nostro sacco di vestiti da rivendere e regalare come se si trattasse di una meditazione. Ogni capo ricorda di un desiderio non realizzato, di un passato felice o triste, dell’attesa di un’occasione che non si è mai concretizzata. Occorre far pace con tutto questo, accettando senza vergognarsi la componente di lutto insita nel gesto di gettare via. Il rituale si concluderà concedendosi il tempo di assaporare un armadio – e una vita – più liberi e leggeri, pronti a fare spazio a nuovi abiti e, con essi, a nuovi sogni.