Il meccanismo per il quale la varietà delle opinioni e delle sensibilità individuali va a confluire in una risposta collettiva univoca è molto affascinante. Tra i suoi indagatori, negli anni ‘50, ci fu lo psicologo Solomon Ash, “padre” della sindrome di Salomone che da lui prende il nome.
Nel corso di un famoso esperimento, Ash chiese a quattro studenti di leggere ad alta voce alcune righe di un testo e di rispondere a una domanda di comprensione. I primi tre studenti che avrebbero affrontato il test avevano ricevuto, all’insaputa del quarto, l’istruzione di rispondere in modo sbagliato alla domanda. Così cominciò l’esperimento: i primi tre studenti lessero il testo e diedero risposte errate. E il quarto? Sorprendentemente (o forse no) anche lui rispose in modo sbagliato alla domanda, pur essendo consapevole che la risposta sarebbe dovuta essere diversa.
Con questo semplice esperimento Solomon Ash sollevò l’attenzione su quanto siamo risposti a rinunciare pur di piacere agli altri: dire cose che non si pensa o comportarsi in modo contrario alla propria natura sono conseguenze della necessità tutta umana di guadagnare l’approvazione altrui e sentirsi parte di un gruppo.
Questo fenomeno riguarda in una certa misura tutti noi, ma alcune persone lo vivono in modo più acuto. Sono queste che, in modo costante oppure solo in specifiche circostanze, manifestano la sindrome di Salomone.
Reprimersi per non distinguersi dal gruppo in cui ci si trova immersi è una violenza contro se stessi perché porta alla spersonalizzazione. L’esigenza di fondersi con gli altri per garantirsi approvazione e fiducia spinge in realtà all’insoddisfazione e, soprattutto, alla perdita di autenticità. È vero che nella nostra natura il bisogno di appartenenza è fondamentale, ma è altrettanto vero che coltivare la nostra personalità è un dovere nei confronti di noi stessi.
Chi tende ad agire secondo la sindrome di Salomone è di solito cresciuto in un ambiente ostile dove esprimere un’opinione differente poteva portare a reazioni di forte rifiuto o, semplicemente, in un contesto nel quale non è stato incoraggiato a sviluppare la propria autonomia. Quando si trova a dover esporre la propria opinione potrebbe avere reazioni di ansia o panico e cercare, per evitarle, di capire che cosa gli altri vogliono sentirsi dire. Ne consegue una difficoltà spiccata a prendere autonomamente la parola e a esprimere il proprio pensiero.
Per superare la sindrome di Salomone è bene allenarsi a essere proattivi. Come?
I pensieri negativi che bloccano la libera espressione sono spesso sproporzionati alla realtà. Fare un po’ di introspezione e analisi e chiedersi se davvero esprimere la propria opinione possa portare conseguenze catastrofiche è molto utile.
Sforzarsi passo passo di uscire dal proprio guscio esprimendo più spesso le proprie opinioni e intervenendo alle discussioni è, come molte altre cose, una questione di allenamento.
Può capitare di esprimere opinioni infondate o errate. E allora? Purché non lo si faccia con malafede, non c’è alcun problema. L’errore non è una condanna, ma piuttosto una possibilità in più per imparare cose nuove.