A volte, quando le cose non vanno per il verso giusto, invochiamo più o meno scherzosamente il cosiddetto karma. Nel pensiero comune questa parola sembra identificare un’astratta potenza benefica che provvederà a vendicarci, ribaltando sul nostro nemico tutti i dispetti che ci ha fatto. Ma è davvero così? Che cos’è il karma per la filosofia orientale? Scopriamolo insieme.
La parola karma è di derivazione indiana e significa, grosso modo, “azione”. Quindi il karma non sarebbe una potenza riequilibratrice astratta, investita del compito di fare giustizia, quanto piuttosto una competenza dell’essere umano. Il principio sottostante all’idea del karma indù è infatti quello di causa-effetto, azione-reazione: chi compie buone azioni provocherà effetti di reazione positiva che si tradurranno in un beneficio sia collettivo che individuale. Quindi non ha senso, almeno filologicamente parlando, identificare il karma con il “destino”.
Il concetto di karma è fortemente presente nelle religioni buddhista e induista. In quest’ultima, in particolare, assume ulteriori significati: gli induisti credono nella reincarnazione e quindi credono che sia il karma a determinare la vita futura di ogni persona. Chi ha un buon karma si reincarnerà in una persona o in un animale felice e potente mentre chi ha un karma cattivo sperimenterà una reincarnazione sfortunata (semplificando un po’). Quindi il karma non è peculiarità di una fase dell’esistenza ma si eredita addirittura dalle vite precedenti. Il buddhismo dà al concetto di karma una sfumatura particolare: più che l’azione in sé, è l’intenzione a contare davvero: le azioni fatte con buoni fini avranno un buon karma indipendentemente dal loro successo, mentre azioni eclatanti come donazioni milionarie fatte “senza cuore” non meriteranno un buon karma.
Per noi occidentali queste sono poco più che curiosità: quel che ci interessa è piuttosto l’idea di passare da un’idea passiva a un’idea attiva del destino personale. Se si pensa che sia l’azione a determinare il futuro, allora si pensa anche di avere in mano le chiavi per cambiare direzione se lo si desidera.
Sempre in tema di concetti di filosofia orientale un po’ distorti dal pensiero comune, possiamo tirare in ballo la celeberrima frase di Confucio: “Siediti sulla riva del fiume e aspetta. Prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. Il significato originario di questa frase non risiede nel concetto che il destino prima o poi si occuperà di fare giustizia: l’insegnamento risiede piuttosto nella transitorietà di tutte le cose e nella capacità di guardare alle difficoltà in prospettiva. Se il nemico prima o poi deve necessariamente morire, ossessionarsi nel combatterlo potrebbe non servire a nulla. L’invito non sembra essere all’inazione, quanto piuttosto allo scegliere le proprie battaglie pensando a cosa davvero valga la pena combattere.
In sostanza, la filosofia orientale, nella varietà delle sue religioni, tradizioni nazionali, figure eminenti e quant’altro, è spesso vista in occidente nella sua accezione più semplicistica e anche più “rinunciataria”. Quello che invece sembra arrivarci da uno sguardo più approfondito è proprio la necessità di prendere in mano con coscienza e razionalità le redini della nostra vita.