Il concetto di corpo ideale (femminile, in particolar modo) cambia continuamente nel corso dei decenni e tutti ne siamo testimoni. A farcene rendere conto sono, soprattutto, i motivi per cui le giovani si rivolgono al chirurgo estetico: se fino a pochi anni fa si eseguivano senza sosta mastoplastiche additive e liposuzioni per ottenere un fisico asciutto ma dotato di un seno abbondante, oggi la maggior parte degli interventi si concentra sul lato B, che deve essere tonico, rotondo e voluminoso.
Anche il fisico delle icone fashion e delle modelle non resta lo stesso nel corso dei decenni: negli anni ‘40 e ‘50 il fisico ideale era considerato quello dalla forma “a clessidra”, col vitino di vespa messo in risalto da abiti aderenti. Negli anni ‘60, tutto cambia: la celeberrima modella Twiggy inaugura la moda del fisico esile, anzi, esilissimo, privo di curve. È allora che le donne di tutto il mondo hanno iniziato a cercare soluzioni miracolose per eguagliare quello standard fisico (Twiggy era gravemente sottopeso).
Le supermodelle degli anni ‘80 inaugurano una nuova concezione di corpo ideale con la loro altezza considerevole e i loro fisici torniti da lunghe sedute in palestra. Secondo alcuni, è in questi anni che si va instaurando un modello di bellezza particolarmente “inarrivabile” per le donne comuni.
Negli anni ‘90 l’era delle supermodelle non è ancora del tutto finita, ma già torna la bellezza sottopeso di una modella che, a modo suo, ha fatto la storia: Kate Moss, in apparenza una ragazza “della porta accanto”, in realtà una persona il cui fisico era modellato dalla dipendenza da stupefacenti. Kate era pallida, con un seno piuttosto piccolo: nei primi anni ‘2000, in reazione alla sua figura, arrivano modelle che, pur magre, posseggono un seno un po’ più prosperoso ma soprattutto una forte abbronzatura (aiutata dalle lampade).
Solo in anni recenti è tornata la “burrosità”, con modelle come Kim Kardashan che ripropongono una versione piuttosto innaturale del vitino da vespa e delle curve prosperose anni ‘50.
In tutti i decenni di cui parliamo, complici i martellamenti della pubblicità e il naturale desiderio delle giovani di essere accettate dai loro coetanei, l’idea più o meno distorta di corpo ideale ha provocato grossi danni. Già negli anni ‘60 le ammiratrici di Twiggy si riempivano di anfetamine per dimagrire, mentre la piaga dell’anoressia non smetteva (né ha mai smesso) di mietere vittime. Per questo oggi si va diffondendo sempre di più il concetto di body positivity e di “moda inclusiva”.
Le modelle, negli ultimi anni, hanno davvero tutte le forme: sono magre (ma non troppo), normopeso e anche (soprattutto) sovrappeso. L’idea è che qualsiasi donna, guardandole, possa sentirsi rappresentata e accettare maggiormente il proprio fisico, senza più essere spinta a torturarlo. Molti hanno deplorato le campagne di body positivity, considerandole alla stregua di un “incitamento all’obesità”. Gli studi più autorevoli, tuttavia, hanno negato ogni correlazione tra le due possibili facce della medaglia. Anzi, sono sempre più le donne “curvy” che su Instagram amano mostrarsi mentre praticano sport, a indicare che un indice di massa corporea alto non corrisponde per forza a uno stile di vita poco sano.
Però, considerando quante sono ancora le richieste di intervento chirurgico da parte di giovani e meno giovani (con i rischi che tali pesanti operazioni implicano) ci si chiede se il messaggio sia passato del tutto: anche se vanno sempre più diffondendosi gli standard “multipli”, di fatto la corsa agli standard irraggiungibili non si è fermata. Ma ognuno e ognuna di noi ha sempre la possibilità di ribellarsi, scegliendo di accettare il proprio fisico e valorizzarlo senza sentirsi inferiori nell’essere, semplicemente, ciò che si è.