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    Spendere con la ragione o con il cuore?
    Non solo il denaro, ma anche il tempo: come lo spendiamo se ne abbiamo in abbondanza o, viceversa, se ne abbiamo poco?

    Nella società consumista il concetto di spesa è al centro della riflessione degli scienziati e dei politici, oltre che naturalmente dei commercianti. Studiare le abitudini di spesa della popolazione è molto importante e per questo fioccano studi, anche da parte di sociologi e psicologi, per capire come e perché decidiamo di utilizzare i nostri soldi o il nostro tempo. 

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    Di recente, tre psicologi provenienti da importanti università statunitensi (Harvard, Princeton e Chicago) hanno condotto un complesso studio per indagare l’approccio alla spesa della popolazione, chiedendosi se contino più il cuore o la ragione quando dobbiamo aprire il portafoglio o impiegare del tempo in una certa attività. 

    Sembra che il “cuore” conti molto in questo processo. Ma cosa intendiamo? Parliamo di acquisto “col cuore” quando, durante una partita della nostra squadra preferita, non esitiamo a spendere otto euro per un panino; lo stesso panino che, quando usciamo dal lavoro affamati, troviamo a cinque euro in un chiosco qualsiasi ma decidiamo di non comprare. Un acquisto col cuore, insomma, è un’azione pilotata dalle circostanze, dalla particolare atmosfera del momento. Allo stesso modo paghiamo cifre esorbitanti per un cocktail in un bel locale vista mare, anche se potremmo averlo per la metà in un bar più modesto. 

    Creare atmosfera, circondare di emozioni la scelta di un determinato prodotto, servizio o attività è da sempre la missione dei pubblicitari: questo perché le spinte emotive sopravanzano spesso quelle razionali quando si tratta di spendere. 

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    Ma c’è un però: questa grande emotività fa parte di tutti o solo di chi se la può permettere? La risposta degli psicologi è la seconda. Chi è ricco (di denaro o di tempo) dà molta importanza all’emotività o al caso nel gestire le proprie scelte, mentre chi è povero fa esattamente il contrario. Chi è cosciente di avere poco tempo o poco denaro tende, infatti, a focalizzarsi più sulla stabilità di un bene che sulla sua componente di piacere. 

    Chi è povero, insomma, valuta i suoi acquisti in modo molto più razionale, senza lasciarsi influenzare dal contesto e mettendo in relazione il bisogno cui risponde un bene con altri bisogni vitali, con criteri di urgenza ed efficienza. Questo studio è importante in particolare per i politici, che cercano di influenzare la popolazione ad assumere certi comportamenti contando molto sulla emotività e sul contesto generale: quando però vanno a toccare argomenti cruciali per le persone che hanno redditi modesti incontrano un limite al loro agire. 

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    Tutta questa questione ci porta a pensare che la pubblicità stessa, cardine della società del consumo, abbia un limite: quando sono in pericolo le nostre esigenze vitali (mangiare, stare con la famiglia, avere una casa, avere tempo libero...) il contesto e l’atmosfera smettono di sedurci e ci concentriamo davvero su ciò che è importante per noi. 

    È bello pensare che la seduzione del commercio abbia tanta presa su di noi quanta lasciamo che ne abbia, e non di più.

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     Commenti (1)
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    1. taratara997, Znojmo (Znojmo)
      ano smysluplne ale veřím ze mnozí neporozumí, jsou zvyklí na sve az do momentu, kdy se jich to zacne nejak dotykat, a ze se dotkne je víc nez jiste ikdy treba v jinych sferach.
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