Introdotte per la prima volta nel 1999 dal designer giapponese Shigetaka Kurita, oggi le emoji sono diventate un fenomeno di massa. La loro diffusione si deve in particolare ad Apple che ha previsto nel sistema operativo iOS 6 la possibilità di attivare simboli e faccine da usare nelle conversazioni. Successivamente le faccine sono diventate animate.
Ma a cosa si deve la celebrazione del World Emoji Day e perché è stata scelta proprio la data del 17 luglio per celebrare le emoji? La ricorrenza è nata nel 2014 grazie al designer e animatore australiano Jeremy Burge e fa riferimento alla data visualizzata allora sull’emoji del calendario. Per l’occasione, Apple e Google rilasciano una serie di nuove faccine che saranno implementate nei rispettivi sistemi operativi nel corso dell’anno. I nuovi design introdotti sono creati dall'Unicode Consortium, gruppo no profit internazionale che stabilisce ogni anno quali nuovi simboli includere.
Partiamo però da una premessa: emoticon ed emoji non sono la stessa cosa. Le prime sono ottenute dalla combinazione di segni di punteggiatura, lettere e/o altri caratteri della tastiera. Ad esempio, le prime emoticon come “:-)” e “:-(“. Attualmente, alcuni software trasformano automaticamente queste combinazioni in immagini di “faccine”. Le emoji, invece, non nascono da digitazioni di caratteri della tastiera; sono immagini già pronte, che rappresentano concetti, oggetti, animali, azioni.
Secondo i dati aggiornati a marzo 2020, le emoji disponibili sono oltre tremila. La faccina che ride con le lacrime agli occhi e, subito dopo, il cuoricino rosso sono le emoji più utilizzate. L’Unicode Consortium tiene traccia dei trend e svela che faccine sorridenti in diverse forme (soprattutto quella con gli occhi a cuore) e mani giunte a mo’ di preghiera vanno forte a discapito, invece, delle emoji dedicate alle bandiere dei Paesi, in fondo alla lista dei pittogrammi più utilizzati.
Dove e come sono nate le emoji? In Giappone, tra il 1998 e il 1999, quando Shigetaka Kurita lavorava alla piattaforma web per telefoni cellulari dell’operatore NTT DoKoMo. Il suo obiettivo era arricchire le mail che il sistema permetteva di inviare dal cellulare, limitate a soli 250 caratteri. Tradusse così 176 concetti, come emozioni e luoghi, in immagini a 12 bit. Il designer si ispirò ai pittogrammi, segni grafici utilizzati in Giappone nelle insegne di luoghi pubblici, ma anche ai fumetti manga e alla grafica di alcune riviste. Erano le prime emoji!
La parola non deriva dal concetto di emozione, come si potrebbe pensare, ma dal giapponese “e” (immagine), “mo” (scrittura), “ji” (“carattere”).
Guardando oggi i simboli di Shigetaka Kurita, ci appaiono diversi dalle emoji attuali: più semplici, minimalisti. Ma troviamo già quel mix di colore, immediatezza, simpatia che ha reso le piccole immagini tanto popolari. Non a caso, il loro successo ha superato i confini del Giappone per diffondersi in tutto il mondo. Con la loro apparenza divertente, le piccole immagini rappresentano in qualche modo uno specchio della società e dell’attualità: come documentato da Emojipedia, nel 2020 l’emoji con la mascherina e quella raffigurante il Coronavirus erano le più utilizzate, nelle conversazioni sul Covid-19.
Lo studio sull’utilizzo delle emoticon merita una attenta riflessione, considerando il dilagante uso quotidiano che coinvolge persone di tutte le fasce d’età.
Oggi oltre il 90% degli utenti della Rete usa abitualmente emoticon quando invia testi scritti di messaggistica; gli esperti ci dicono che non si tratta solo di un fatto generazionale. Dagli studi effettuati risulta che ad usare questo modo di comunicare sono in larga parte adulti ed un buon numero di anziani.
Con l’avvento dei social network la comunicazione è tornata ad essere prevalentemente scritta, si comunica tramite chat, e-mail, social; questo nuovo modo di dialogare è considerato “oralità scritta”. La scrittura assume la forma della comunicazione orale che è caratterizzata dalla gestualità e della mimica facciale, l’uso delle emoticon permette di inserire elementi espressivi nei testi scritti trasmettendo emozioni e può modificare la percezione che gli altri hanno di noi influendo sulle nostre relazioni sociali.
Nel linguaggio scritto è difficile tradurre questi atteggiamenti che contribuiscono a rendere le conversazioni molto più colorite e ricche.
Capita anche a noi di scrivere un messaggio e non riuscire ad inviarlo prima di chiudere la conversazione scritta con una emoticon… forse ci sembra che non abbia la stessa incisività, oppure a volte ci serve per smorzare i toni che altrimenti apparirebbero troppo seri.
Ad ogni modo, le emoticon sono già diventate delle opere d’arte in mostra al Moma di New York, nonostante abbiano poco più di vent’anni; questo non deve stupirci se consideriamo i numeri: ogni giorno 6 miliardi di emoji circolano sul web e dobbiamo ricordarci che ad usarli sono il 90% degli internauti. Il loro ruolo nella nostra cultura è destinato ad aumentare, rendendole segnali discorsivi e vere e proprie icone della contemporaneità, presenti nell’intrattenimento, nell’arte e negli oggetti di consumo.