Alcuni mesi fa ha avuto particolare risalto sulla stampa italiana la morte di Alika Ogorchukwu, picchiato a morte in pieno giorno a Civitanova Marche. Diverse persone hanno assistito a questo omicidio tanto crudele quanto evitabile: l’assassino non era armato e sarebbe potuto essere fermato se almeno alcune persone fossero intervenute per bloccarlo fisicamente. A destare l’orrore e la disapprovazione di gran parte degli italiani è stato il fatto che i testimoni del delitto non solo non hanno fatto nulla, ma si sono fermati a riprendere la scena sui loro cellulari.
Non è la prima volta che un caso del genere conquista la prima pagina sui giornali. Ancora oggi si ricorda il tragico “caso Genovese”, che risale a quasi sessant’anni fa. Nel 1964, la ventinovenne americana Kitty Genovese venne barbaramente pugnalata e poi stuprata mentre tornava a casa, in un quartiere residenziale di New York. La sua aggressione avvenne in due tempi: prima l’assassino, scacciato da un vicino, si mise in fuga, ma dopo poco tempo ritornò e diede alla donna il colpo di grazia. In seguito, il New York Times uscì con un titolo agghiacciante: "Trentasette che hanno visto l'omicidio non hanno chiamato la polizia". Da lì gli psicologi Bibb Latané e John Darley ipotizzarono e poi studiarono il cosiddetto effetto spettatore.
La teoria è che, quando si assiste a un evento tragico, si avverta la responsabilità di intervenire. Se però sono presenti sulla scena diverse persone, si tende a evadere dai propri doveri, convincendosi inconsciamente che altri abbiano già chiamato i soccorsi o comunque debbano muoversi per primi. O comunque si ritiene che le altre persone presenti, essendo più informate, stiano optando per la reazione migliore (in questo caso riprendere col cellulare) e ci si conforma a questo tipo di condotta. Per dimostrare la realtà dell’effetto spettatore, nel 1968 fu messo in atto uno specifico esperimento alla Columbia University. Alcuni studenti vennero messi in una stanza con l’istruzione di compilare un test e di non muoversi se avessero visto del fumo (sarebbe stato innocuo). Solo uno degli studenti, inconsapevole del tipo di esperimento in cui era coinvolto, ricevette solo l’incarico di compilare il test senza altre informazioni. Quando del fumo, non tossico, iniziò a invadere la stanza, gli studenti che erano stati preavvertiti non si mossero, e anche quello che era ignaro rimase passivo. Quando invece uno studente veniva posto in una stanza da solo e vedeva il fumo, la sua prima reazione era di uscire e avvertire i professori. Questo dimostrerebbe quanto siamo influenzati, singolarmente, dalla condotta del gruppo in cui ci troviamo.
Il potere malefico dell’effetto spettatore va però stemperato, leggendo la complessità dei fatti. Sembra infatti che sia nel caso di Kitty Genovese sia in quello più recente di Alika Ogorchukwu alcune persone siano effettivamente intervenute chiamando i soccorsi. Nell’episodio del ‘64 il fatto era avvenuto a notte fonda e in alcuni casi i vicini, dall’interno delle loro case, avevano sentito qualcosa ma non avevano preso coscienza del delitto in corso; nell’episodio di qualche mese fa, più di un testimone ha affermato di aver fermato auto, allertato la polizia e aver provato a prestare soccorso. Perciò, fermo restando che questo effetto esiste, una buona dose di responsabilità e la coscienza dei possibili inganni mentali a cui siamo esposti può aiutarci a superarlo e fare finalmente la cosa giusta.