In passato la separazione tra fasce di età diverse era molto accentuata, per tanti motivi: prima di tutto la mentalità, che imponeva alle persone adulte e in particolar modo ai padri e alle madri di famiglia atteggiamenti pacati e freddi, improntati al distacco; e poi il look che per gli adulti era molto più sobrio, al limite dell’austero.
Oggi non è raro vedere genitori e ragazzi fare shopping insieme e adottare dress code molto simili; la “giovanilizzazione” del look e la disponibilità di trattamenti estetici e cosmetici sempre migliori fa a volte scambiare le madri per sorelle delle loro figlie. Anche la mentalità e l’educazione sono cambiate: oggi è più frequente che i genitori incoraggino i figli a parlare dei propri problemi e non si trattengano a loro volta dal condividere le proprie confidenze.
La domanda che molte madri si fanno è se sia possibile (e sano) enfatizzare quest’ultimo aspetto e diventare “amiche” delle proprie figlie. Vediamo cosa ciò comporta dal punto di vista della psicologia.
Per le madri, il desiderio di diventare amiche delle figlie potrebbe nascondere un disagio inconscio nei confronti dell’autorità. Questo accade prevalentemente alle madri single, che si sentono costrette ad assumere su di sé tutte le difficoltà (e i sensi di colpa) del doversi imporre e cercano un’altra via, più “gentile”, per evitare questo disagio.
Per le figlie, però, possono crearsi alcuni problemi. Il principale sta nel senso di solitudine (apparentemente paradossale, ma reale) che è generato da un rapporto simbiotico. L’adolescente, quando cerca un punto di riferimento solido, sente di non trovarlo, mentre la persona adulta appare priva degli strumenti necessari per essere una vera guida. Questo porta specialmente le giovani a cercare altri punti di riferimento al di fuori della famiglia e a sentirsi smarrite.
Quando arriva il momento di mettere in discussione la madre (passaggio tipico dell’adolescenza) la giovane potrebbe avvertire un’inconfessata paura di distruggerla, proprio perché non abbastanza “forte”. In ciò le madri-amiche generano nelle figlie scrupoli e disagi simili a quelli, stavolta inevitabili, presenti nelle famiglie che convivono con situazioni di disabilità o malattia.
Avere una madre “pari” a sé può provocare da una parte un desiderio di emulazione, dall’altra una sottile rivalità. Finché una madre è vista dalla figlia come troppo giovane, potente, esuberante e attraente nei confronti degli uomini la confusione dei ruoli gioca a sfavore della giovane, che diventa insicura e si sente a disagio nei confronti della propria stessa femminilità. Questo genere di disagio, a sessi invertiti, si può leggere ad esempio nella celeberrima “Lettera al padre” di Kafka.
Dal punto di vista psicologico l’amicizia tra madre e figlia rappresenta, quindi, una scelta poco educativa e potenzialmente rischiosa. Questo non vuol dire assolutamente che si debba tornare ai vecchi tempi e alla tradizionale freddezza. È sempre possibile trovare una via di mezzo tra l’intimità familiare e la necessità di dare ai ragazzi un punto di riferimento solido.
Secondo lo psicoterapeuta prof. Roberto Pani, per quanto sia difficile è indispensabile gestire il rapporto madre-figlia “attraverso l’autenticità e la congruenza” ma evitando accuratamente ogni possibile di confusione dei ruoli. L’amicizia vera e propria tra madre e figlia di solito arriva molto più tardi dell’adolescenza, quando la figlia diventa madre a sua volta ed è in grado di capire la difficoltà del proprio ruolo.