Quando si trova al cospetto di Paolo e Francesca, Dante è nel II cerchio infernale, quello riservato ai lussuriosi, a coloro che si sono lasciati travolgere dal desiderio carnale sottomettendo la ragione al piacere. Insieme a importanti personaggi del mito e della storia come Cleopatra, Tristano, Paride, Achille ed Elena, il poeta toscano scorge due anime unite indissolubilmente. Sono proprio Paolo e Francesca, i due nobili che con la loro tresca avevano dato scandalo in tutto l'ambiente cortigiano dell'epoca.
A far scattare la scintilla tra i due il libro “galeotto” di Paolo e Francesca, in particolare, è quello che narra le vicende relative all'amore segreto tra Lancillotto e Ginevra. Nel leggere del bacio appassionato tra i due, i cognati si abbandonano alla loro passione e fanno altrettanto, dando inizio ad una relazione adultera che li porterà alla soddisfazione carnale ed alla dannazione eterna, dopo aver trovato la morte terrena.
La pena riservata ai due cognati adulteri e a tutti i condannati nel Cerchio della Lussuria è eloquente: come in vita si sono lasciati travolgere dalla “bufera” della passione, dopo la morte sono eternamente esposti ad una bufera infernale. Mai fermi, sempre costretti a roteare vorticosamente, per l'eternità.
Simbolo insieme di amore e di sfida, di passione e di peccato, Paolo e Francesca rappresentano con efficacia i due poli del conflitto interno all'amor cortese, quello tra la tensione nobilitante e la tensione distruttiva della stessa passione amorosa. Al tempo di Dante (inizio del XIV secolo), infatti, è viva la contrapposizione tra la concezione stilnovistica dell'amore che nobilita, quello per la donna angelicata, vista come strumento di elevazione a Dio, bellezza mistica da contemplare e ammirare, e quella propria della nascente tradizione cortese, dove i sensi trionfano sull'intelletto.
Paolo e Francesca sono in qualche modo espressioni dell'uno e dell'altro filone. A far sbocciare la passione è una lettura maledetta, quella del libro di Lancillotto e Ginevra. Il riferimento non è casuale. Con l'avvento delle corti e delle signorie sta nascendo un nuovo modello di donna colta, raffinata e sensuale, capace di leggere e di emanciparsi, nobile e disinibita. L'amore diventa libero, disinteressato, anche tra due categorie «proibite» come quella di Paolo e Francesca.
Buio pesto e aria pesante. Un gran vento agita e percuote le anime dei dannati: «Una bufera mai doma/ travolgeva nel turbinio gli spiriti, tormentandoli e sbattendoli con violenza». Questa è la prima pena da cui risalire alla colpa dei condannati. Anche per i lussuriosi si applicherebbe la legge del contrappasso che governa l’aldilà infernale: la regola secondo cui la pena esprime l’esatto contrario della colpa (dal latino contra e patior, patire il contrario). La punizione come l’opposto della colpa in vita.
Ma se consideriamo meglio le cose, non siamo certo di fronte a una punizione così pesante ed esemplare. Dante è benevolo verso le passioni carnali: il girone è quello più lontano dal centro dell’inferno e la condanna è tutto meno che terribile. I lussuriosi vengono trascinati in una grande tempesta, come in vita si sono lasciati trasportare da una libidine smisurata.
Il vento è il disordine, l’assenza di lucidità, l’allontanamento dalla ragione. «Di qua, di là, di giù, di sù li mena» come un tempo la loro vita si era abbandonata agli istinti carnali e al desiderio sessuale. I dannati sono soggiogati da una tempesta burrascosa, tanto quanto è stata tempestosa la loro vicenda terrena.
Il racconto ha del sensazionale anche perché l’episodio di Paolo e Francesca appartiene in primo luogo alla cronaca dell’epoca. Paolo Malatesta di Rimini e Francesca Da Polenta di Ravenna erano cognati (Francesca era infatti andata in sposa a Gianciotto Malatesta, fratello di Paolo). Entrambi scomparvero intorno al 1287. Sulla loro sorte si potevano fare solo congetture. Si vociferava di un delitto, ma l’alleanza tra Ravenna e Rimini era così conveniente che il crimine era stato messo a tacere da entrambe le famiglie. Rimaneva una delle tante dicerie che riguardavano le famiglie signorili dell’epoca.
Il poeta viene a conoscenza di tutti i particolari del fatto di sangue e, pur bisognoso di protezione, tira fuori la vicenda assumendosi la coraggiosa responsabilità di denunciare lo scandalo di una delle più potenti e spietate famiglie del tempo (Gianciotto è ancora vivo e potente quando Dante scrive). La ricostruzione dei fatti svela quel “mal perverso”, il sempiterno incubo di tutte le coppie: l’adulterio. La cultura italiana ne è ossessionata. L’antichissima relazione fra Eros e Thanatos si traghetta nella contemporaneità.
Il passaggio dalla ragione alla passione è fatale. La trasgressione si insinua da allora nel mondo occidentale, ben oltre la continua ostilità tra eros ed ethos, tra piacere e dovere del mondo classico. Qui si inaugura una nuova stagione, la tentazione letale dell’inosservanza, dell’infrazione. Il piacere si annida proprio lì, nella trasgressione che disubbidisce alle leggi della ragione, nel pericoloso soddisfacimento di un desiderio proibito.