Il rapporto con una persona anaffettiva, che sia intimo o di semplice amicizia, è povero di emozioni perché la persona fa un’immensa fatica a riconoscere o manifestare le proprie e, di conseguenza, a mettersi in relazione con il vissuto emotivo degli altri. Ad esso predilige un muro di razionalità e logica che la fanno sentire più al sicuro.
Paradossalmente, questa tipologia di persona può presentarsi in modo molto attraente: le donne, ad esempio, considerano l’anaffettività come sinonimo di forza. Eppure, non bisogna confonderle. Un anaffettivo si pone come leader, si fa rispettare e ciò fa sì che la donna si senta protetta. Tende ad essere dominante in ambito sociale e questo attrae. Ma queste caratteristiche, oggi, non sono una scelta vincente e se nella fase dell’innamoramento può essere diverso, alla lunga un partner così fa vivere a metà.
Il termine anaffettivo si usa per indicare freddezza, distacco, distanza. È spesso riferito al maschile perché, fin dai tempi antichi, l’uomo ha dovuto dimostrare di essere forte per motivi culturali e sociali e per farlo, ha sviluppato modalità di controllo delle emozioni. Andando più a fondo, l’anaffettività è una difesa che una persona sviluppa per far fronte a situazioni malsane: manipolazioni, ricatti, soprusi reiterati, o più semplicemente, credenze poco funzionali per uno sviluppo sano (come ad es. la frase “i forti non piangono”).
Per dirla con lo psichiatra Paolo Crepet, non si tratta di un blocco dovuto a un trauma, né a un problema specifico. È un modo di “vivere” la relazione lontano dal suo contenuto emotivo, perché esso è percepito come pericoloso.
Non esporsi quindi è la strategia più diffusa. Instaurare una relazione implica l’entrare in contatto con aspetti emotivi propri e dell’altra persona, correre il rischio di vivere situazioni piene di calore, affetto e dolcezza, e questo fa paura. Il subentrare di questa paura porta a virare dall’interesse verso modalità distaccate. Si tratta di un meccanismo di difesa che inconsapevolmente protegge e permette di preservarsi dal correre rischi nell’entrare completamente in relazione, di costruire qualcosa di importante.
Qual è il rimedio?
Una terapia su una persona anaffettiva è un percorso pieno di insidie, che molto difficilmente porta a risultati significativi. Rendersi conto di essere in una relazione con una persona anaffettiva è il primo passo; l’altro è forse quello più doloroso: provare a comprendere come funziona, come vive e come si relaziona, ma ti sarà richiesto uno sforzo notevole, visto il tuo coinvolgimento emotivo, e una volta compreso chi hai di fronte, ti si prospettano due strade: accettarlo così com’è, senza la speranza di poterlo cambiare o scegliere di ripartire da te e dai tuoi bisogni, dal contatto con le tue emozioni, con le tue esigenze.
È importante che tu ti convinca che non sei il problema e che purtroppo il tuo amore non basterà per farlo diventare una persona diversa. Questa è la parte più dolorosa di questo processo di consapevolezza e non sempre si è pronti per affrontarla, ma se senti di volerti dare spazio e tornare a vivere un amore appagante, allora, è un passaggio necessario da compiere.