Le notizie e, in generale, gli stimoli di tipo informativo ci piovono addosso da ogni parte. Se prendiamo la metropolitana possiamo vedere breaking news passare sugli schermi delle stazioni o nei vagoni; se accendiamo la radio in auto, possiamo venire a sapere le ultime notizie serie o facete; se accendiamo la TV o ci rechiamo in edicola, idem. Ma soprattutto, non appena accediamo ai social media, le stesse notizie che avremmo potuto evitare distogliendo l’attenzione dai vari notiziari ci arrivano comunque, trasformate in post, meme, thread di discussioni. Ce ne sono tante, arrivano continuamente e passano attraverso tutti i media possibili: ciò sarebbe abbastanza per impazzire.
Come facciamo a mantenere un po’ di salute mentale? Disconnettendoci selettivamente. Cioè, prestando attenzione solo a ciò che vogliamo sapere e relegando tutto il resto al rango di “rumore di fondo”. È un modo che inconsapevolmente tutti attuiamo per difenderci. In particolar modo dalle notizie cattive, quelle che non fanno dormire la notte. E funziona talmente bene che riusciamo a non vedere, non sentire, non ricordare intere categorie di informazioni.
Se questo fosse un meccanismo automatico del cervello sarebbe bellissimo. In realtà, a disconnettersi selettivamente ci vuole molta fatica. Bisogna schivare le fake news (o quelle che hanno l’aria di esserlo), le notizie troppo amare (non è che possiamo sempre piangere), la propaganda e la contro propaganda. Secondo alcuni giornalisti tra i più attenti al fenomeno, il fenomeno Covid potrebbe spiegare in parte la nostra crescente “allergia alle notizie”: troppo dolore esposto quotidianamente, troppi bollettini angoscianti, troppa pressione mediatica.
Secondo il Digital New Reports 2022 dell’istituto Reuters, la disconnessione selettiva è un fenomeno mondiale. Sempre più gente smette di ascoltare le cattive notizie e riattiva un po’ l’attenzione solo quando ci sono “good news” nell’aria, o almeno situazioni neutre su cui posare l’attenzione. Secondo una ricerca condotta negli USA, 4 persone su 10 si ritengono “orgogliosamente disinformate”. Tassi simili sono stati riscontrati in Paesi molto lontani e molto diversi, dal Brasile alla Gran Bretagna, fino all’Italia. Forse è vero che durante il Covid l’informazione, a livello internazionale, ha battuto talmente tanto sui tasti più duri da avere scatenato una sorta di sciopero delle coscienze.
I giornalisti più attenti stanno cercando di invertire la rotta, passando dal concetto di notizia tragica a un’informazione propositiva, concentrata sulle soluzioni o tesa almeno a regalare un barlume di speranza. È il cosiddetto “giornalismo delle soluzioni”.
Finora il giornalismo non si è concentrato particolarmente sull’impatto umano delle notizie che produceva. La sequela di catastrofi che ogni giorno rimbalzano sui vari media ha perso il suo potere di scuotere gli animi e chiamare all’azione, e si è risolta in una sorta di tortura mirata a far sentire le persone sempre più impotenti e spaventate.
Oggi i giornalisti più avanzati si stanno sforzando (anche se con molta difficoltà) di far vedere le soluzioni nascoste, le speranze dietro i fatti, le soluzioni oltre i problemi. Solo così, forse, riusciranno a recuperare un po’ di audience. Un atteggiamento che ad alcuni può sembrare infantile e moralistico, o quantomeno sospetto, mentre ad altri può suggerire una sacrosanta presa di responsabilità, dopo anni di speculazione sulle tragedie.
Voi cosa ne pensate? Che tipo di notizie vorreste conoscere? Quali pensate che siano più utili alla collettività?