La metafora che sta dietro alla “sindrome del nido vuoto” non potrebbe essere più calzante. Dopo un periodo di anni e decenni nel quale l’abitazione familiare era ricca di “pulcini” chiassosi e bisognosi di cure, all’improvviso cala il silenzio: i figli grandi hanno imparato a “volare” da soli e sono andati via, lasciando il “nido” vuoto e senza vita.
Sono molti i genitori che vivono con grande tristezza il trasferimento dei figli verso nuove abitazioni o addirittura nuove città. Magari c’è un momento di sollievo iniziale, che è un misto di orgoglio e soddisfazioni per le conquiste dei figli e di piacere legato alla pace e alla libertà ritrovate; ma presto questi sentimenti positivi lasciano il posto a una sottile depressione, a un senso di vuoto e a volte anche di inutilità. Non è facile accettare che quel bambino che alcuni anni fa si è tenuto in braccio ora sia un uomo o una donna pronto a camminare da solo nella vita.
La sindrome del nido vuoto colpisce di solito le madri, che ancor oggi nella maggior parte delle famiglie sono le principali figure di accudimento per i figli, ma nemmeno i padri ne sono esenti. Quali sono le cause di questa malinconia? Prima di tutto, la coscienza del tempo che passa: i figli sono grandi, i “nonni” sempre più vecchi e a loro volta bisognosi di cure, si sta per andare in pensione e per le donne è il momento della menopausa, con tutti i suoi disagi.
Questo senso di tristezza è del tutto giustificato ed è sempre necessario prevedere, come in ogni svolta della vita, un momento di adattamento. Alcune persone, però, mantengono tale sentimento molto a lungo, persino per anni. Anche se la partenza dei figli rientra nell’ordine naturale per le cose, qualcuno non riesce a rassegnarsi a dover creare una nuova routine e a volte a confrontarsi con una grande solitudine, specie se si è divorziati o se i rapporti con il partner si sono allentati dal punto di vista emotivo.
È fondamentale vivere la “partenza dal nido” come un’opportunità e non come una condanna. Molti genitori non riescono a resistere alla tentazione di invadere la vita dei figli anche una volta che questi sono usciti di casa, mettendo becco su come gestiscono le giornate, imponendo loro di tornare al “nido” troppo spesso, sostituendosi a loro nei mille compiti della quotidianità. Questo atteggiamento è deleterio, perché mira inconsapevolmente a togliere ai ragazzi l’autonomia che stanno faticosamente tentando di costruirsi.
La partenza dei figli, dicevamo, dovrebbe essere presa come una splendida opportunità per recuperare del tempo e degli interessi che nella fase dell’accudimento sono stati messi da parte. È il momento di inaugurare una nuova routine e di prendersi cura di un “bambino” nuovo, quello interiore che ciascuno di noi possiede!