Cos'è la cherofobia
La cherofobia è una forma di ansia che nasce dalla paura che la felicità possa in qualche modo essere dannosa. Nessun altro animale vive questo vero e proprio paradosso: la paura del benessere, dello stare bene, del piacere. Come mai accade questo? La psicoanalisi ha decretato che l’organismo umano è retto dal principio di piacere. Ma nel 1916 Sigmund Freud scoprì un tipo di personalità che chiamò “coloro che soccombono al successo”.
Si tratta di tutte quelle persone che sembrano avviate al fallimento, che ripetono relazioni o amicizie frustranti, che iniziano cose che già sanno di non poter portare a termine. Quante volte ci è capitato di incontrarne sulla nostra strada... Qualche volta, in momenti di particolare sconforto, potremmo esser persino stati tentati di scegliere questo atteggiamento, imboccando la via del sistematico insuccesso. Freud diede una spiegazione, tuttora valida: in questi casi la persona soccombe per il senso di colpa inconscio.
È un sentimento che non possiamo controllare, ma è come se davanti alla nostra felicità, al successo o all'appagamento, avvertissimo un insopportabile senso di colpa verso genitori, fratelli e persino amici. La paura è quella di superarli, in fantasia, in prestigio, in visibilità, e quindi, di ucciderli.
I comportamenti cherofobici sono molto diffusi tra gli adolescenti e si allungano nell'età adulta. Sembrano atteggiamenti apparentemente senza senso. Ad esempio, si può temere che un successo come il conseguire una laurea o l'iniziare una relazione amorosa possano deludere gli altri. Un amico lasciato solo per uscire con il proprio partner, può scatenare il "terremoto" cherofobico.
C'è anche un altro tipo di cherofobia, legato però all'assunzione di responsabilità. Laurearsi o innamorarsi sono atti che richiedono delle azioni, come il cercare un lavoro o portare avanti il rapporto verso comportamenti socialmente condivisi come la convivenza, il matrimonio e la procreazione. Cose che spaventano chiunque, ma nei cherofobici l'inconscio mette in atto strategie di vera e propria fuga dalla responsabilità.
Secondo la psicoanalisi ci sono delle persone maggiormente predisposte alla cherofobia: coloro che sono gravati da un senso di colpa inconscio, i depressi (anche in forme non gravi) o le personalità narcisistiche e immature, che però mettono in atto l'altro tipo di cherofobia, quella della fuga dalle responsabilità e, di conseguenza, dal benessere. Ma questa condizione può colpire tutti: uomini, donne, ricchi, poveri, giovani e anziani. Essendo una problematica dell'inconscio, diventa un "carattere" della persona, un modo di essere che può costituire un serio impedimento alla serenità.
La cherofobia può essere contagiosa: non in senso genetico, ma proprio come un virus si può trasferire per prossimità. Il bambino si identifica con i genitori e se uno di loro mette in atto comportamenti cherofobici, il figlio può riconoscere in questi atti un modo di comportarsi da ripetere. L'autorità del genitore è legge quando si è piccoli. Quindi, per imitazione, si tende a imitare tutto senza interrogarsi o rendersene conto.
Come superare questa paura
Anche la psicoterapia incontra difficoltà nel trattare questo comportamento disfunzionale. Ma gli esperti raccomandano prima di tutto di acquisire consapevolezza: riconoscere di soffrire di cherofobia è un importante primo passo. Poi, attraverso un percorso di conoscenza, psicoanalisi e psicoterapia, si possono correggere i comportamenti che minano la nostra felicità. Occorre andare a fondo e scoprire dove si annidano le ragioni profonde e nascoste che ci spingono a non essere felici per paura di ferire gli altri.
Il lato positivo della cherofobia
Eppure, a voler guardare tutto con le lenti dell'ottimismo, anche la cherofobia ha un lato positivo. Ci aiuta a non farci false illusioni e a mantenere un atteggiamento razionale, ma solo quando non diventa eccessiva, quando non ci fa pensare che tutto è possibile. Quindi, entro certi limiti, non lasciarsi andare a un senso di onnipotenza, può aiutarci a vivere meglio il qui e ora.
Cosa possiamo fare per combattere la cherofobia
Se durante questa lettura hai riconosciuto in te alcuni tratti della personalità cherofobica, avviare un percorso psicoanalitico e psicoterapico è un buon punto di partenza per combattere questa tendenza a vivere al ribasso delle proprie possibilità. Per affrontare la paura di essere felici può aiutare tenere un diario personale, in cui annotare i propri stati d'animo, le occasioni in cui abbiamo avuto timore e le cose che ci fanno stare bene. Rileggerlo è una parte molto importante del processo, per individuare comportamenti e abitudini distruttive, e lavorare per eliminarle.
Scegliere di frequentare persone positive aiuta. Per coltivare la felicità bisogna circondarsi di persone che permettono di mantenere scambi interessanti e con cui sentirsi bene. A loro puoi comunicare ciò che sentiamo, imparando a descrivere i nostri stati d'animo per fare chiarezza dentro se stessi e imparare a confrontarci con gli altri.
Aiuta molto anche fare cose che ci fanno stare bene, anche senza uno scopo preciso. Uscire, fare sport, andare a ballare, farsi un regalo (senza cadere nello shopping compulsivo). L'importante è rompere la routine e imparare ad apprezzare al pieno il momento, godere della bellezza dei singoli istanti della vita. Proprio per rimanere nel qui e ora, è consigliabile fare yoga o qualsiasi altra attività meditativa. Infatti, queste pratiche ci aiutano a imparare a respirare, ossigenare la mente e calmare il corpo. Respirare bene, in modo corretto, aiuta a conservare uno stato di tranquillità e consapevolezza.
Inoltre, bisogna abituarsi a pensare alla serenità, più desiderabile della felicità, fatta di attimi, momenti, mentre la pace può dare vita a stati d'animo durevoli. Come sostiene Tiffany Watt Smith nel suo Atlante delle Emozioni Umane «parlare di “prosperità” invece che di “felicità” potrebbe riportare la felicità all'essere un'emozione» e non un obiettivo. Invece di considerarla come uno stato o condizione permanente del genere “e vissero tutti felici e contenti”, bisogna considerarla una sensazione temporanea, a volte presente, a volte no.