Nel famosissimo componimento “Spleen” presente nella raccolta “I fiori del male” il poeta francese Charles Baudelaire descrive una sensazione che qualche volta tutti hanno provato:
“E lunghi funerali, senza tamburi né musica, sfilano lentamente nella mia anima; vinta, la Speranza piange; e l’atroce Angoscia, dispotica, pianta sul mio cranio chinato il suo vessillo nero”.
Spleen è una parola inglese che deriva dal greco, dove ha il significato di “milza”. Secondo l’antica medicina greca, basata sulla teoria degli umori, era la bile nera localizzata nella milza a provocare un senso di angoscia e di oppressione.
Lo spleen non è depressione ma è un senso di tristezza soverchiante che porta a vedere il mondo come privo di ogni luce e bellezza. È una sensazione alla quale è difficile dare motivazioni e che ogni tanto può passare a farci visita senza essere chiamata. Come scrive efficacemente Baudelaire, lo spleen fa sentire prostrati e inermi e sembra che non ci sia via di fuga a questa sensazione che può essere anche spaventosa. Che fare dunque?
Per prima cosa bisogna distinguere lo spleen dalla depressione e dall’angoscia cronica: per quanto sia faticosa da vivere, la sensazione di spleen è transitoria e può essere cancellata con una certa facilità. La depressione invece, per quanto porti con sé la stessa angoscia e lo stesso senso di oppressione, è qualcosa di radicato e che permane per mesi. In questo caso il rimedio principale è chiedere l’aiuto di un professionista.
Per contrastare lo spleen la cosa giusta da fare è portare nella propria giornata un po’ di quella luce che sembra persa, ad esempio contattando gli amici per un’uscita o facendo una passeggiata nella natura. Bastano piccole azioni portatrici di gioia per tenere a bada la sensazione di soffocamento che lo spleen porta con sé.
Un altro rimedio, paradossale ma efficace, è fare come Baudelaire, ovvero immergersi completamente nello spleen. Nel mondo moderno si è portati a voler cancellare subito ogni dolore alle prime avvisaglie, senza permettersi di viverlo fino in fondo. È un peccato, perché il dolore può essere una grande fonte di crescita personale e di creatività.
Quella sera in cui era immerso nello spleen il poeta non è uscito con gli amici ma è rimasto in casa a scrivere: si è permesso di provare l’angoscia fino in fondo e l’ha trasformata in qualcosa di grande grazie alle sue parole. Anche noi possiamo fare lo stesso, prendendo in mano la penna e vergando su carta i nostri pensieri. Oppure possiamo immergerci nel dolore meditando, ascoltando musica triste, naufragando nella nostra sensazione. L’effetto finale potrebbe essere fortemente catartico, facendoci sentire liberati e anche più consci di noi stessi.
Ricordiamo che lo spleen rientra tra le sensazioni umane e quando si presenta indica che siamo mentalmente vivi: dovremmo dunque ringraziarlo anziché detestarlo e seguire i suoi insegnamenti, prendendoci più cura di noi stessi o attraverso il divertimento e la distrazione o attraverso l’introspezione e la creatività.