Capita a tutti che un volto in televisione o su una rivista ci riesca istintivamente "antipatico". Questo caso, da considerarsi estremo visto che manca l'incontro fisico, non è l'unico: possiamo provare antipatia per una cassiera che ci serve, per un amico di amici appena presentatoci e via dicendo. Ma perché questo accade?
Per rispondere alla domanda dobbiamo analizzare due meccanismi presenti nella mente umana: induzione e deduzione.
Grazie all'induzione possiamo trarre una conclusione generale partendo da casi particolari. Un classico esempio per spiegarla è questo: se metto un dito su un ago o una spina mi pungo, mi procuro un dolore, e lo so perché tutte le volte che ho toccato un ago con il dito mi sono punto.
La deduzione, al contrario, ci permette di trarre una conclusione particolare partendo da premesse generali. L'esempio di riferimento è il seguente: poiché tutti sono convinti che gli aghi pungano, poiché tutti lo dicono, penso che se toccherò un ago mi pungerò.
La deduzione è ciò che ci tiene lontani da situazioni pericolose senza doverle sperimentare: per questo stacchiamo la corrente prima di cambiare le lampadine, evitiamo di prendere a mani nude teglie e pentole bollenti, ecc.
Induzione e deduzione, ovviamente, vanno a braccetto nell'intento comune di proteggere la nostra incolumità.
I meccanismi di cui si è parlato non si attivano solo in presenza di pericoli materiali, ma anche quando conosciamo persone nuove. Tutti possediamo degli "schemi mentali", come dicono gli psicologi o, per usare un termine più basso, dei pregiudizi. Quando incontriamo una persona, ma anche quando ci imbattiamo in un volto fotografato, in pochi secondi analizziamo una serie di parametri e traiamo le nostre conclusioni: questa persona è amica, è innocua, oppure è nemica, potenzialmente pericolosa, o per qualche ragione antipatica e sgradevole.
Questo accade a livello inconscio, con le informazioni già incluse nel nostro "database" mentale. A quel punto, il cervello applica i meccanismi di induzione e deduzione e il gioco è fatto.
Ma cosa ci fa paura nelle persone? Alcune volte è facile dirlo: se incontriamo una persona visibilmente alterata proviamo paura perché la vediamo "strana" e sappiamo che potrebbe agire in modo imprevedibile. Sappiamo questo per istinto, per le raccomandazioni ricevute da piccoli o perché abbiamo sperimentato situazioni sgradevoli in passato.
Il motivo per cui alcune persone ci stanno antipatiche "a pelle", però, è molto più sfumato.
Spesso lui/lei ci infastidisce perché è il riflesso della nostra ombra, ovvero riconosciamo inconsciamente che riflette ciò che di noi non ci piace.
Oppure, questo sconosciuto ci ricorda qualcosa (un problema, un evento, etc) che ha ancora qualche effetto in noi, oppure richiama alla nostra mente situazioni ed esperienze ancora sospese: i nodi irrisolti che ci limitano.
A volte, ancora, l'istinto che si scatena è l'invidia. Se, per esempio, io ho un problema con una parte del mio corpo, la vista di una persona che giudico "perfetta" da quel punto di vista rischia di scatenare la mia rabbia e il mio senso di ingiustizia trattenuti.
Questo principio, anch'esso un meccanismo di difesa, è detto "proiezione": quando una persona ci è ‘cordialmente antipatica’ dovremmo chiederci se non stiamo per caso proiettando su lui/lei alcuni dei nostri inconfessabili problemi.
La conclusione, però, non può essere sempre la rinuncia al rapporto. Induzione e deduzione, nella fase iniziale, si applicano a segni e situazioni generici e, man mano che la conoscenza prosegue, devono essere raffinati e rinegoziati. La proiezione stessa è una formidabile opportunità di scoprire, conoscendo l'altro, cose nuove su di noi.
Dobbiamo stare attenti, insomma, che la "profezia iniziale" non si compia per colpa nostra, e cioè che la persona bollata inizialmente come antipatica non resti tale per via di un nostro velenoso intervento.
A volte ne vale la pena e a volte no: tuttavia, allenare con prudenza la nostra elasticità mentale è un buon esercizio di amore verso il mondo.