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    (Non) abituiamoci alle pandemie
    Una riflessione sugli ultimi studi scientifici e sui piani governativi che ci invitano a mettere in conto di vivere almeno un'altra pandemia nel corso della nostra vita.

    Lo scorso febbraio, nel corso di un'intervista con il Financial Times, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha dichiarato: "prepariamoci a gestire un'era delle pandemie". La presidente ha ricordato le epidemie nate negli ultimi decenni (Hiv, Ebola, Mers, Sars) sottolineando come queste fossero circoscritte e affrontabili, mentre nell'era post-Covid dovremo prepararci ad affrontare nuove malattie su scala decisamente più grande. Non è pensabile, secondo Von der Leyen, che il Covid sia il primo e l'ultimo caso di pandemia che dovremo affrontare. 

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    Ed è così che il Messaggero in una pagina molto più recente (2 settembre '21) titola: "Abituiamoci alle pandemie: probabilmente ne vivremo un'altra". Un team internazionale di esperti ha studiato infatti, con un calcolo matematico, la probabilità che emerga una nuova pandemia dopo quella da Covid-19. Secondo questo calcolo, in ognuno dei prossimi anni ci sarà circa il 2% di probabilità che inizi una nuova pandemia e, nel corso dei prossimi decenni, potremmo arrivare a una probabilità del 6%. Risultato? Approssimativamente tra una sessantina d'anni dovrebbe scoppiare un'altra pandemia. Il tutto è molto ipotetico, naturalmente, ma ciò che conta è il messaggio: il Covid potrebbe essere, anzi probabilmente non sarà, solo il primo di una serie di casi. Ancora non lo abbiamo sconfitto e già pensiamo ai prossimi. 

    Tutto questo a livello di politica sanitaria e meccanismi di prevenzione è quantomai giusto: prevedere scenari futuri anche pessimistici e catastrofici serve a potenziare le nostre difese per evitare di trovarci inermi come accadde un anno e mezzo fa. 

    Ma come dobbiamo prenderla noi cittadini, questa serie di dichiarazioni? Non nello stesso modo. Per favore, non abituiamoci alle pandemie. E non abituiamoci a questa presente, ancora in corso. 

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    Molti dei miei amici, quando escono di casa e si scordano di portare la mascherina, vivono qualche attimo di panico prima di entrare in un locale, mi chiedono se ne ho una di riserva, poi sorridono e dicono: "Grazie a Dio non mi sono ancora abituato a questa pandemia". 

    A parte il suggerimento di portarsi sempre dietro una scorta di dispositivi di protezione, come le donne previdenti in età fertile fanno con gli assorbenti, trovo che la fierezza dei miei amici sia in qualche modo sana. È sano non abituarsi alla privazione, è sano dimenticare talvolta la mascherina a casa. È sano pensare a un futuro in cui torneremo a ballare, a "pogare" ai concerti e a vivere una vita del tutto normale. 

    Proprio in questo sta la capacità umana di ripresa e resilienza (guarda caso, le stesse parole che sono state utilizzate per designare il piano di ripresa economico europeo): saper dimenticare le difficoltà passate e andare avanti "come se niente fosse" con la voglia di vivere e di costruire, per noi stessi e per i nostri figli. 

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    Un conto sono i piani europei di sicurezza e vigilanza sulle pandemie, che devono adottare un atteggiamento vigile e pessimistico come è loro dovere: un altro conto è la nostra vita individuale, che non merita di essere schiacciata dalla paura. Speriamo allora di dimenticarci presto di questa pandemia, quando sarà passata, e di non pensare troppo a quelle future.

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