Molti usano indifferentemente il termine “rimpianto” in luogo di “nostalgia”. Simili nella superficie, si tratta in realtà di due stati d’animo diversi:
La nostalgia fa riferimento a persone, situazioni o cose effettivamente esistite o accadute.
Il rimpianto invece riguarda persone, situazioni o cose che, accadute o meno, è impossibile anche solo immaginare di riprodurre. In genere si tratta di eventi rimasti solo potenziali e senza una conclusione nella realtà vissuta.
Il rimpianto si concentra, ad esempio, su una persona con la quale si è interrotto un rapporto di lavoro, di amicizia, di amore, oppure può riferirsi a una vacanza che non è stato possibile fare, a un rapporto di lavoro cui si è rinunciato ecc… Il rimpianto ha a che vedere con l’impossibilità. Il rimpianto, specie per qualcosa che non si è realizzata, è perciò più fastidioso della nostalgia ed è capace di pietrificare il presente, tenendo lo sguardo rivolto nevroticamente all’indietro.
Il rimpianto produce rabbia
Accanto al rimpianto c’è quasi sempre un sentimento di rabbia che, in mancanza di un obiettivo individuabile, si rivolge contro la stessa persona che rimpiange: in altre parole si tende a pensare che la colpa di quanto accaduto sia esclusivamente nostra, senza tenere presenti le circostanze che hanno accompagnato l’evento che causa rimpianto, ovvero il suo ricordo, che in tal modo viene trasfigurato. L’irritazione può anche essere in parte giustificata poiché magari quanto rimpiangiamo è effettivamente avvenuto o meno a causa di un nostro comportamento. Può subentrare allora il rimorso che produce pentimento: ma se quest’ultima trasformazione è positiva perché può condurre al perdono e quindi al superamento del problema, il rimpianto spesso non si trasforma in null’altro e rimane a tormentarci per molto tempo.
Liberarsi dai rimpianti
Non è facile liberarsi dal rimpianto, eppure è necessario provare a farlo perché in caso contrario si è come un galeotto costretto a camminare con una palla di ferro legata alla caviglia, ovvero manca la libertà di scegliere di andare dove ci vuol portare il destino, il nostro destino. Perchè restare prigionieri quando è possibile essere liberi? Si può anche domandarsi cento volte: “Ah, se avessi fatto, avessi detto…” Ma la parola “se” ci conduce psicologicamente in un vicolo cieco. Senza dubbio ciò che avrebbe potuto essere e non è stato costituisce una ferita che può far male anche a distanza di anni ma è stato comunque il frutto di una nostra scelta o di una nostra disattenzione. Bisognerebbe, per poter stare bene con noi stessi e con gli altri, rallegrarsi di ciò che si ha e si può fare “adesso”: se abbiamo raggiunto una qualsiasi cosa, cioè quello che siamo in questo preciso momento, dobbiamo anche ringraziare quello che ”non è accaduto” tempo fa, siano mesi o anni…
Rimpianti: no alle torture autoinflitte
Se il rimpianto si è trasformato in una raffinata tortura che ci somministriamo a ogni piè sospinto, diviene impellente, se si vuole rinunciare a rabbia, amarezza e frustrazione, lasciare andare – che è l’equivalente psicologico del perdono - quanto rimpiangiamo. Facendosi ad esempio aiutare dall’immaginazione, si può vedere la persona o la situazione che rimpiangiamo, con quanti più particolari possibili e man mano osservarli rimpicciolirsi fino a scomparire in un orizzonte azzurro (può essere il mare o ciò che si vuole) che la porta via: si proverà un grande senso di pace, che stabiliremo con noi stessi. Per riuscire a camminare avanti, dove si trova il raccolto di ciò che seminiamo “adesso”, occorre smettere di guardare indietro quando quello che si poteva prendere è stato preso e dove è inutile voler seminare. Il rimpianto non fa crescere alcuna pianta ma può avvelenare quello che è cresciuto nel nostro presente. Il senso di colpa che si accompagna al rimpianto è come un abito intessuto di ortica che indossiamo volontariamente: molto meglio per noi toglierlo!