Il distanziamento sociale imposto dall'obiettivo di contenere la diffusione del Coronavirus ha indotto una nuova sofferenza, che gli Americani chiamano "skin hunger", ovvero "fame di pelle", astinenza da contatto, di cui oggi purtroppo soffriamo quasi tutti. Da due mesi e mezzo abbiamo dovuto rinunciare alle strette di mano, agli abbracci, ai baci, alle coccole e anche alle cene con gli amici, alla vicinanza, alla convivialità, per proteggere noi stessi e gli altri. Ora, più che mai, ci siamo resi conto di quanto quei piccoli gesti quotidiani, che davamo per scontati, concorrano al mantenimento del nostro equilibro psico-fisico e ci rendano felici. Del resto, il tocco della pelle, seppure blando, agisce sul sistema nervoso, riduce la pressione, rallenta il battito cardiaco.
Il nostro corpo è una macchina meravigliosa che, per funzionare alla grande, ha bisogno dei giusti carburanti. Non solo cibo e acqua, sostentamenti fondamentali, ma anche l’affetto conta: il contatto fisico regolare è imprescindibile per il nostro benessere, è necessario per la nostra salute fisica e mentale perché garantisce enormi benefici. Ad esempio, gli abbracci abbassano i livelli di cortisolo, l'ormone dello stress, e le coccole tra i partner migliorano la qualità della relazione, tanto per citare solo alcuni degli effetti positivi.
Cosa succede quando manca il contatto fisico per troppo tempo? Proprio come la privazione di cibo, acqua e riposo, la carenza di contatto ha effetti disastrosi sulla nostra salute, provocando danni incredibili. Le persone che ne soffrono ad alti livelli sono svantaggiate in tanti frangenti rispetto a quelle che ne avvertono livelli moderati o bassi: sono più facilmente soggette a depressione e stress e, in generale, a condizioni di salute peggiori. Non è tutto: hanno meno sostegno sociale e minore soddisfazione nelle relazioni, sperimentano più disturbi dell'umore e dell'ansia, oltre a maggiori disturbi immunitari secondari (quelli che vengono acquisiti piuttosto che ereditati geneticamente). Hanno addirittura più probabilità di soffrire di alessitimia, una condizione che pregiudica la loro capacità di esprimere e interpretare le emozioni. Infine, è più probabile che abbiano uno stile di attaccamento malsano e quindi formano legami meno sani con gli altri.
Il contatto fisico costituisce dunque un bisogno primordiale ed è attraverso questa lingua, muta ed amorevole, universale ed immutabile nel corso dei secoli, che dedichiamo a chi ci sta accanto le parole più belle che si possano pronunciare. Con una pacca sulla spalla rassicuriamo e infondiamo coraggio, con un bacio esprimiamo il nostro affetto, stringendo una mano manifestiamo vicinanza.
Il silenzio nel quale siamo sprofondati è composto anche di questi vuoti, è assenza persino di pelle, desolazione, solitudine totalizzante. E, purtroppo, esso è destinato a permanere, almeno finché non verrà scovato un vaccino che ci ponga al sicuro rispetto al pericolo di essere infettati e di infettare.
Fu lo psicologo statunitense Harry Harlow, negli anni Cinquanta, a condurre i primi studi sul bisogno di prossimità fisica, scoprendo che questa necessità non riguarda soltanto gli esseri umani ma anche gli animali. Proprio come i cuccioli di uomo, pure quelli di scimmia tendono a ricercare qualcosa di caldo e morbido contro cui rannicchiarsi, arrivando al punto di disinteressarsi al cibo pur di godere dell'effetto confortante di un abbraccio.
Il nostro desiderio di fisicità non si estingue crescendo. Anzi, in certe fasi cruciali della esistenza, può divenire più urgente. Allorché siamo sotto stress ad esempio, esso diventa ancora più impellente. Il paradosso è che proprio adesso che avremmo più esigenza di essere abbracciati, a causa della paura generata dallo stato di emergenza nonché da un virus sconosciuto, non possiamo neanche sfiorarci. Siamo obbligati a scansarci, a starci alla larga, ad evitarci gli uni con gli altri. Stiamo accumulando in tal modo fame di contatto. Ironia della sorte, nel momento in cui avremmo più bisogno di allentare lo stress e rafforzare le difese dell'organismo, siamo privati di un'arma essenziale per farlo.
Come ha spiegato Alberto Gallace, docente di psicobiologia e psicologia fisiologica all'Università di Milano-Bicocca, gli esseri umani sono per natura creature sociali e i nostri cervelli e sistemi nervosi sono fatti in modo da rendere il tocco un'esperienza piacevole: «La natura - chiarisce - ha progettato questa modalità sensoriale per aumentare le nostre sensazioni di benessere nei contesti sociali. È presente soltanto negli animali sociali che hanno bisogno di stare insieme per ottimizzare le chance di sopravvivere”.
Le videochiamate e gli altri strumenti che ci hanno aiutato a rimanere vicini anche in queste settimane di lockdown non riescono a integrare il senso del tatto nelle modalità di comunicazione sensoriale. Significa che per astinenza da contatto fisico possiamo trasgredire al distanziamento sociale? No: limitare i contatti con chi amiamo è, nelle fasi di recrudescenza della COVID-19, il primo modo che abbiamo per proteggerli. Ma se in questi mesi vi siete sentiti, o vi sentirete, in debito di abbracci, almeno saprete che è del tutto normale!